Agricoltura del disastro
Come ogni anno gli incendi stanno sconvolgendo la Bolivia. La stagione del chaqueo non si è ancora conclusa e sono già andati in fumo 2,3 milioni di ettari. Nel 2019, alla fine della stagione secca, ne bruciarono circa 6,4 milioni: in termini di estensione equivalenti alla superficie dell’intero Costa Rica. L’area più colpita è la Chiquitania, terra lussureggiante nel dipartimento orientale di Santa Cruz; parte di essa è considerata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Il suo bosco secco tropicale, unico al mondo per biodiversità, è piagato da un grande male: “l’agricoltura del disastro”
Lo sfruttamento intensivo delle terre e la deforestazione sono alla base dei numerosi incendi che stanno colpendo la zona. I fuochi divampati illegalmente aprono la strada a nuovi terreni coltivabili, dove verranno riversati in larga scala agrotossici, molti dei quali vietati in Europa. Questo processo genera drammatici effetti sull’acqua, sulla terra e sull’essere umano. Non solo: nel tempo l’utilizzo di queste sostanze rende le terre improduttive, costringendo gli agricoltori a cercarne di nuove producendo così ulteriori incendi.
I grandi investitori sono multinazionali e imprenditori stranieri, brasiliani su tutti, che posseggono vaste proprietà dedicate alla soia, al mais e all’allevamento. Oltre alle grandi aziende anche i mennoniti, abili agricoltori inconsapevoli delle conseguenze per l’uomo e per l’ambiente, contribuiscono alla perdita del bosco secco chiquitano. Nel complesso la deforestazione, l’inquinamento delle acque e l’utilizzo di agrochimici cancerogeni stanno accelerando il processo di desertificazione. Questa situazione, diffusa anche in altri stati dell’America Latina, minaccia non solo la Bolivia e le sue originarie popolazioni indigene, costrette alla migrazione, ma sta anche provocando un impatto sul cambiamento climatico dell’intero pianeta. Agricoltura del Disastro è un progetto che vuole lanciare un allarme rispetto al futuro della Bolivia, della nostra Madre Terra e del genere umano. Le alternative esistono e vengono progettate nella stessa Bolivia, nonostante le grandi imprese non le vogliano vedere.